Che differenza c’è tra Irish Whiskey e Scotch Whisky?
Perché alcuni scrivono whiskey e altri whisky? Hanno entrambi ragione: la differenza di grafia corrisponde al diverso metodo di distillazione, adottato rispettivamente da Irlandesi e Scozzesi.
In questo articolo parliamo di:
1. Etimologia del nome
Il nome whisky deriva dal termine gaelico uisgebeatha, che si può tradurre come “acqua di vita“, a testimonianza dell’origine cristiano-monastica di questo distillato; questa parola si è trasformata nel tempo, nei vari passaggi attraverso la lingua volgare, diventando prima “usquebaug” poi “whiskybae” fino ad arrivare agli attuali whisky e whiskey.
In particolare, whisky è la grafia scozzese, utilizzata in Gran Bretagna e Canada, mentre la grafia whiskey è quella originaria dell’Irlanda, prevalente anche negli Stati Uniti.
Scozia e Irlanda si contendono la paternità del termine ma anche se la grafia è diversa, la pronuncia rimane invariata.
Le due grafie, whisky e whiskey, corrispondono a due stili di distillazione differenti, legati ad aspetti socio-culturali e tradizioni che hanno determinato, a fasi alterne, la fortuna o la disfatta di una filosofia rispetto all’altra.
Scopriamo nel dettaglio le principali tipologie di Whisky e Whiskey.
2. Whiskey Irlandese (Pot Still)
Per cominciare, i Pot Still irlandesi non contemplano l’utilizzo della torba nella fase di essiccazione, nonostante l’Irlanda sia una delle maggiori produttrici di questa materia prima: le cotture vengono effettuate in forni chiusi, che non lasciano passare i fumi della combustione.
In secondo luogo, la fase di malting è molto ridotta: si utilizza una percentuale di orzo non inferiore al 30%, miscelato con malto di orzo; la miscela deve corrispondere almeno al 95%, con l’aggiunta di altri cereali, distillati a parte, per il restante 5%. Questa peculiarità è il lascito di un periodo di dazi sul malto, che in Irlanda, a metà Ottocento, costrinse molte distillerie a ridurne al minimo l’utilizzo.
L’ultima differenza è la distillazione.
I whisky scozzesi prevedono due distillazioni, mentre quelli irlandesi sono sottoposti alla tripla distillazione che ne aumenta il contenuto di alcool e sostanze oleose, arrivando a raggiungere una gradazione di 86°.
Il distillato viene poi miscelato con acqua per raggiungere la gradazione desiderata di almeno 40°, una volta in bottiglia, non subisce particolari evoluzioni.
La distillazione deve essere fatta esclusivamente nell’alambicco tradizionale in rame Pot Still, può essere Single Malt o Single Cask con riferimento all’origine più che alla materia. Rispetto a quello dei cugini scozzesi, il gusto del Single Malt e dello Scotch è più dolce e corposo, grazie alla presenza di orzo non maltato che gli conferisce anche note maggiormente erbacee.
Il Whiskey Irlandese deve maturare per almeno 3 anni in botti di quercia, generalmente ex Bourbon o ex Sherry, deve essere prodotto da un’unica distilleria, raramente viene fatti invecchiare per più di 7 anni.
Inizialmente, il Whiskey Irlandese fu quello che riscosse maggiore successo e, nonostante l’ostruzionismo dei governi sull’orzo, il panorama delle distillerie indipendenti era fiorente.
Agli inizi del 1800 erano attive oltre 93 distillerie e il distillato irlandese era il più consumato al mondo, complice anche la popolarità che riscuoteva negli States.
A metà del XIX° secolo l’innovazione dell’alambicco a colonna diede una spinta notevole alla produzione, ma i produttori irlandesi si rifiutarono di accettare quest’innovazione, che modificava il tradizionale processo di produzione.
La grande carestia e la Guerra d’Indipendenza d’Irlanda diedero il colpo di grazia ai produttori, che negli anni ’70 del Novecento si ridussero a due.
Attualmente, quasi tutte le distillerie sono controllate dall’Irish Distillers ma verso la fine del 1900 nuovi progetti imprenditoriali come la Cooley hanno dato nuovo slancio all’Irish Whiskey che si è aperto al mondo del Blend e soprattutto all’uso di alambicchi a colonna, favorendone la competitività e la rinascita.
Le principali distillerie del paese sono: Jameson, Bushmills, Power, Cork, Cooley, Tullamore e Midleton.
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3. Whisky Scozzese
Quando parliamo di whisky è alla Scozia che va il nostro primo pensiero: qui il distillato si è evoluto in autentici capolavori, che fanno delle peculiarità territoriali il marchio di fabbrica delle diverse distillerie.
Il Single Malt la fa da padrone, anche se, nel tempo, per adattarsi alla mutevolezza del mercato e al gusto dei consumatori, si sono sviluppati i Blended Whisky e il Grain Whisky, che hanno contribuito a creare il mito dello Scotch Whisky.
Single Malt
La versione tradizionale scozzese del whisky, prodotto da un’unica distilleria, solo da puro malto d’orzo con il metodo Pot Still, deve essere invecchiato almeno 3 anni e imbottigliato con una gradazione alcolica non inferiore al 40% Vol.
Pochi semplici passaggi e una doppia distillazione danno vita a infinite varianti di distillato che, in alcuni casi, diventa opera d’arte, non a caso, attualmente parliamo di una delle versioni più apprezzate al mondo.
Le principali aree geografiche di produzione sono: Highlands, Ilsands, Lowlands, Islay, Speyside e Campbeltown.
Cosa le contraddistingue? E’ un pò come per il vino: il luogo di produzione e l’esposizione a venti, la concentrazione di umidità, la temperatura e la materia prima conferiscono carattere al distillato, ma la vera magia è risultato della ricetta, che varia da distilleria a distilleria.
E’ sufficiente modificare i tempi per la produzione del malto o della fermentazione, la temperatura di cottura, le botti in cui avviene la maturazione o l’alternarsi delle stagioni, per ottenere un prodotto diverso dall’altro.
Questo è il motivo per cui una distilleria può creare infinite varianti dello stesso prodotto ed è per questo che in alcuni whisky è segnalata la dicitura Single Cask, che sta ad indicare che il prodotto è proveniente da un’unica botte.
Va detto che il numero di distillerie che utilizza questo stile di produzione è sempre più ridotto, le cause sono i costi elevati per la produzione, lo stoccaggio e di conseguenza la vendita. Parliamo di whisky che possono maturare fino a 20 anni, subendo evoluzioni considerevoli nel tempo.
I principali produttori di Single Malt sono: Aberlour, Aultmore, Bunnahabhain, Bowmore, Caol Ila, Tomatin, Inchgower, Glenfiddich, Glen Grant, Lagavulin, Highland Park, Talisker, Laphroaig, Chivas, Macallan, Oban, Linkwood e molte altre.
Queste caratteristiche, unite all’invenzione dell’alambicco a colonna e alla necessità di far fronte a una richiesta di prodotto in costante crescita, favorirono nel XIX° secolo l’invenzione del Grain Whisky.
Grain Whisky
I dazi sul malto giocarono un ruolo importante nello sviluppo di questo nuovo stile di distillazione, unitamente alla scoperta dell’alambicco a colonna e quindi della distillazione continua.
Le principali caratteristiche del Grain Whisky sono la miscelazione di malto d’orzo con altri cereali, la distillazione continua da un’unica distilleria e la maturazione a seconda del disciplinare.
Questo stile ha dato vita al Bourbon e al Whisky American Style come il Rye Whisky.
Il malto d’orzo, che generalmente viene aggiunto come starter per la fermentazione, viene miscelato con tutti i tipi di cereale: mais, segale, frumento.
Ogni cereale ha le sue caratteristiche, ma in generale possiamo dire che il Single Grain Whisky è ottenuto da un cereale miscelato con malto d’orzo al 90%, il processo di distillazione continuo è più selettivo del Pot Still quindi si ottiene un prodotto meno complesso, ma più cremoso, speziato, a volte dolce.
L’invecchiamento ne determina il carattere, a seconda dell’obiettivo. attraverso l’utilizzo di botti di secondo passaggio, che cedono componenti e aromi durante la maturazione.
Questa tipologia di whisky è perlopiù utilizzata per creare blend con Single Malt o con altri Grain Whisky. La sua fortuna fu la riduzione dei costi e dei tempi di produzione in un periodo storico (seconda metà del XIX° secolo) in cui, per effetto della Phylloxera vastatrix, le viti di tutta Europa vennero completamente distrutte. La mancanza di materia prima fermò quasi completamente la produzione di vini e cognac, favorendo la domanda di altri distillati.
Blended Scotch Whisky
Il termine blended indica il procedimento di produzione di questi whisky: blend significa “miscelare”, “tagliare”.
L’ascesa di questo tipo di whisky è chiaramente dettata dal minor costo per il consumatore: la maggior parte dei whisky lover non può permettersi di bere i costosi Single Malt a ogni occasione. D’altra parte è importante sottolineare come questa pratica, iniziata per necessità, sia ormai diventata un’arte, un mestiere, al pari di quella di uno chef.
Per imparare a riconoscere le sfumature di ogni stile di distillazione servono molti anni, a questa impresa va aggiunta la capacità di individuare i produttori e i lotti più interessanti, provenienti da varie distillerie del paese o del mondo.
Quest’arte è custodita e tramandata da veri e propri maestri, blenders, che devono saper interpretare in anticipo le richieste del mercato per assecondare i gusti del futuro.
Il blended è stata sicuramente una delle principali cause che, dalla metà dell’Ottocento, ha contribuito alla disfatta del progetto irlandese.
Il Blended Scotch Whisky è sostanzialmente una miscela di whisky di malto, di grano e di mais, ottenuti rigorosamente da distillerie scozzesi, con una gradazione alcolica di almeno 40% Vol.
Ne esiste una versione di nicchia, che si ottiene miscelando due Single Malt: il risultato è un Blended Malt Whisky, una versione più amabile dei whisky scozzesi puri, che hanno magari note torbate molto pronunciate o sono piuttosto verticali.
Con questo metodo, è possibile unire le caratteristiche note affumicate di Islay con l’eleganza delle Highlands o la dolcezza dello Speysde ottenendo un distillato più “moderno” e pronto per il mercato globale, ne è un esempio Yushan Signature.